giovedì 10 febbraio 2011

Armando Adolgiso dixit

Armando Adolgiso su Nybramedia.it, sez. Cosmotaxi
giovedì, 10 febbraio 2011

Qui si vende storia (1)

E’ questo il titolo di un libro che corre veloce su di un tandem poetico e critico guidato da Nevio Gàmbula e Francesco Muzzioli, volume che nasce prendendo spunto da una polemica contro il New Italian Epic. 
Già, e se gli italiani, almeno in letteratura, diventassero epici? Li esorta a tanto il collettivo di scrittori Wu Ming proclamando il NIE, acronimo che sta per “New Italian Epic” (e, da parte di chi s’è dato un nome cinese, chiamare in inglese un indirizzo letterario che nasce in Italia, entra già di diritto nella storia del Varietà). Adesso, con qualche critico che gli scodinzola dietro (e anche qualche carampana che vuole fare la cciovane), un po’ di pubblicità l’hanno rimediata e fanno sapere ch’è ora d’assumere nella scrittura valori etici, dicono – letteralmente – “un senso di responsabilità”. E, soprattutto, rifiutare l’ironia perché “Se ogni volta che parli segnali che la tua parola non ha peso né valore, si allarga sempre più la distanza tra quel che dici e quel che provi”.
Molti scrittori, alcuni scarsamente etici, e tutti ironici fino al sarcasmo (Cervantes, Rabelais, Sterne, Sade, Svevo, Celine, Gadda, Queneau, e tanti altri), saputo del New Italian Epic, tremanti, si sono chiesti angosciosamente: “E ora, che ne sarà di noi”?
Nella foto accanto, un libro elettronico al quale va tutta la mia fiducia (... tranquilli, non riproduce una pagina dei Wu Ming che scrivono ancora su carta, e usano sì il web ma come megafono della carta stampata): pussa via carta e inchiostro! (A proposito, Italo Calvino già prefigurò la e-letteratura e il vook inventando il termine “iper-romanzo” e profetizzandone l'avveniristico profilo; poi il primo romanzo ipertestuale ad essere pubblicato sul Web è stato, nel 1994, “Delirium”, di Douglas Cooper, che permetteva di navigare all'interno di quattro storie incrociandole e dissezionandole con movimenti visivi e random usando software come Storyspace e Hypercard). 
Poi, c’è anche chi corre ai ripari. Roberto Saviano, ad esempio. Uno dei più grandi giornalisti dei nostri anni cui, talvolta, alcuni cercano d’azzannargli i calcagni. Molti credono che gli sia stata data una scorta per difendersi dai casalesi. Macché! I casalesi sono bravi guagliuni; Saviano ha la scorta per difendersi da quelli della Nie che hanno preso l’abitudine di catturare chiunque abbia successo e iscriverlo di forza nel loro (immobile) movimento.
Nie. Quelle lettere sono anche le prime tre lettere della parola NIEnte. I cervel… diciamo le teste è meglio và… senescenti di questi giovanotti che hanno partorito quel figlio di cellulosa, sono, come dicevo prima, i Wu Ming. In Vikipedia è detto di loro “… rifiutano di mettersi in posa per servizi fotografici e hanno come politica di non apparire mai in video. Nemmeno sul loro sito ufficiale sono disponibili immagini dei loro volti”. 
Insomma, nessuno può riconoscerli in qualche piazza o in qualche via. E questa sì che mi pare una loro decisione comprensibile e saggia.
Perché, in conclusione, non mi piacciono questi Wu Ming? 
In parte, se v’interessa, l’ho già detto tempo fa QUI e, poi, perché credo in ciò che sostiene Giorgio Manganelli: “La prima qualità di uno scrittore è quella di essere inutile”.
C’è anche chi, con altre angolazioni, illuminate da grande autorevolezza critica e poetica, ha illustrato motivazioni che rendono la Nie un grande equivoco teorico e una piccola disgrazia del nostro scenario letterario.
Sono Gàmbula e Muzzioli proprio in Qui si vende storia, il libro che ho citato aprendo questa nota, e che ora ne scriverò nella seconda parte di questa stessa nota.

Qui si vende storia (2)

Le edizioni Odradek hanno pubblicato Qui si vende storia una farsa proletaria, o un aborto di teatro epico di Nevio Gàmbula con un saggio di Francesco Muzzioli intitolato Per una parodia rossa nell’epoca del ridicolo.
Si tratta di una raffinata operazione in due tempi, la prima affidata ad un testo teatrale e la seconda a un testo critico.
Nevio Gàmbula, (Nurallao, 1961) – per visitare il suo sito web cliccare QUI – è attore, poeta, insegnante di recitazione e autore di saggi sul teatro e di critica culturale. Ha pubblicato testi poetici in diverse antologie, la raccolta di testi drammaturgici "La discordia teatrale" (Pendragon, 2003) e il volume "L'attore senza ruolo" (Zona, 2010), dove analizza teoricamente e tecnicamente la voce recitante e alcune esperienze fondamentali di teatro contemporaneo. Realizza spettacoli in veste di autore e attore. Ebbi il piacere di presentare tempo fa una sua dichiarazione di poetica e il trailer di “RadioHamlet”.
Francesco Muzzioli (Roma, 1949) insegna Critica letteraria presso l’Università “Sapienza” di Roma. Si è occupato principalmente degli autori del Novecento e delle linee di ricerca dell’avanguardia e dello sperimentalismo; nell’àmbito della teoria letteraria si è interessato al dibattito delle tendenze e dei metodi. Tra i suoi volumi: “Le teorie della critica letteraria” (1994); “Teorie letterarie contemporanee” (2000); “L’alternativa letteraria” (2001); “Le strategie del testo” (2004); Scritture della catastrofe (2007); Quelli a cui non piace” (2008); e due funambolici testi di cui sono (e non solo il solo) entusiasta lettore quali sono L'urbana nettezza (2007) e Alla Corte del Corto (2009).
Prossimamente presso l’Editore Guida uscirà “Letteratura come produzione”.
Una sua intervista rilasciata a questo sito si trova QUI.


A Francesco Muzzioli ho chiesto: qual è, in sintesi, la critica che rivolgi alla Nie? In che cosa ravvisi le sue principali debolezze?
Ho accolto la proposta di accompagnare il testo teatrale di Gàmbula e di rendere ancora più esplicito il suo contenuto polemico verso la Nie, perché da tempo conduco un discorso avverso all’ideologia della narrazione e alle “forme di fiction” che ci avvolgono da ogni parte. Limitandosi a proporre un ritorno verso i contenuti “storici” e i problemi reali, i Wu Ming restano ben dentro questa ideologia e queste forme. Da un lato non inventano nulla (“oggetti narrativi non identificati” ce n’erano stati già un bel po’, pensa a Primo Levi, a Carlo Levi, al libro di Sciascia su Moro, ecc.); dall’altro lato sembra che la durezza del reportage giornalistico – di per sé lodevolissima – sia assunta come passaporto, una sorta di spolveratura legittimante della fiction romanzesca. Altrettanto, inversamente, un certo giornalismo si serve di modalità narrative come “abbellimento” della rudezza giornalistica. Un bel chiasmo, ma sempre interno agli accorgimenti del mercato per acchiappare il pubblico.

Il tuo saggio è intitolato “Per una parodia rossa”. Quale senso attribuisci alla parodia oggi che indossi quel colore?
Mi pare che sia palese, ormai, che il sistema del libero mercato non regge e non è più sopportabile, almeno a livello europeo e italiano. In tempi di crisi, occorrerà progettare forme di “condivisione della penuria”, uguali per tutti. Vale a dire, tornare a discutere di ‘comunismo’. Per questo ho ripreso il colore di quella bandiera. E però l’utopia non va sognata, ma va costruita a partire dalla miseria del presente e con la consapevolezza di disporre di una ragione e una sensibilità abbondantemente disastrate. In letteratura, propongo di partire dalla parodia, cioè dalla riscrittura del passato, non però con l’ammiccamento indifferente del postmoderno, ma con un attraversamento scombinante e rovesciante. Una parodia dialettica, teatralmente dinamica, polemica e non arresa a semplificazioni di sorta, una parodia che non abbia timori reverenziali e tiri fuori dal passato tutte le cariche alternative che ancora vi si trovano. Non conferendo all’arte nessuno statuto speciale. L’“aureola” della poesia è andata perduta da tempo, né ci può essere d’aiuto il profetismo intellettuale o la morale pietosa. Richiedo la forza del sarcasmo.