martedì 27 luglio 2010


Nevio Gàmbula, qui si vende storia. Una farsa proletaria, o un aborto di teatro epico, con un saggio di Francesco Muzzioli, per una parodia rossa nell’epoca del ridicolo, Roma, Odradek edizioni, settembre 2010.

Questo libro è un doppio esercizio critico, condotto sul piano della scrittura drammaturgica e di quello della teoria letteraria, e che ha come bersaglio principale il New Italian Epic e alcune delle “mode” letterarie più invasive del momento. Gli autori, ognuno secondo la propria modalità espressivo-discorsiva, contestano che la letteratura sia concepibile soltanto all’interno delle maglie stritolanti del mercato editoriale, così come si pongono in conflittualità frontale con le forme più evidenti di intrattenimento, dal noir, al fantasy, al recupero della fiction impegnata o storica. Il libro si costituisce quindi come critica radicale del senso comune e, al contempo, come sperimentazione linguistica che si affida alla forza dirompente della parodia. Quel che conta, per gli autori, è la pratica “grottesca” della parola, il gesto profanatorio che istituisce il linguaggio come “rivolta disalienante”. 

Autori

Nevio Gàmbula (Nurallao, 1961) è attore, poeta, insegnante di recitazione  e autore di saggi sul teatro e di critica culturale. Ha pubblicato testi poetici in diverse antologie, la raccolta di testi drammaturgici "La discordia teatrale" (Pendragon, 2003) e il volume "L'attore senza ruolo" (Zona, 2010), dove analizza teoricamente e tecnicamente la voce recitante e alcune esperienze fondamentali di teatro contemporaneo. Realizza spettacoli in veste di autore e attore. Una raccolta di testi e di versioni audio di sue opere sta in www.neviogambula.it. 

Francesco Muzzioli (Roma, 1949) insegna Critica letteraria presso l’Università “Sapienza” di Roma. Si è occupato principalmente degli autori del Novecento e delle linee di ricerca dell’avanguardia e dello sperimentalismo; nell’ambito della teoria letteraria si è interessato al dibattito delle tendenze e dei metodi. Tra i suoi volumi più recenti c’è il pamphlet sulla crisi della critica letteraria intitolato Quelli a cui non piace (Meltemi, 2008); sta per uscire dall’editore Guida Letteratura come produzione. Per Odradek ha curato le edizioni dell’Almanacco di scritture antagoniste (2003/2007) e la prefazione a Un mondo peggiore è possibile (2008) di Ernesto Screpanti.


Breve premessa


Caro lettore,

permettimi di cominciare con una piccola avvertenza. Me ne stavo nel mio cantuccio scrivendo invettive contro il saggio New Italian Epic di Wu Ming 1 (Einaudi 2009), una sorta di manifesto sulla narrativa italiana. Strano, dirai; che c’entri tu, che sei un attore di teatro, con la letteratura? È presto detto: «il teatro langue quando la parola con cui si incontra non è ricca di quella vasta risonanza e di quella insidiosa ambiguità che la migliore letteratura porta con sé». Del resto, come penso saprai, ogni arte si esprime al meglio delle sue possibilità nella relazione con le altre. Il saggio in questione, tra l’altro, muove dall’istanza di rompere con il ripiegamento dell’arte su se stessa, istanza che ha contrassegnato, direi da sempre, anche il mio lavoro.
A partire da queste premesse, sono quindi passato alla verifica del saggio, confrontandomi con esso. E qui le cose, fin da subito, hanno preso un segno negativo, sembrandomi il saggio stesso fragile, senza memoria, irritante; in una parola, dilettantesco. Volevo esprimere questo fastidio. Come spesso accade, però, il proprio desiderio sbatte contro i propri limiti: la rabbia mi consumava e non riuscivo a fare uscire le parole dall’armatura della polemica, ammucchiando frasi incapaci di cogliere nel segno.
Finché mi sono accorto che l’unica reazione possibile era l’irrisione. Mi sono allora posto un quesito: come fare diventare questa irrisione produttiva di senso? Per farla breve, tutta questa frenesia mi ha portato nei pressi di Čuk-Utitz, personaggio del (non)romanzo Il padrone assoluto del militante-poeta Gianni Toti (Feltrinelli 1977). La maschera burlesca e dissacratoria di Čuk-Utitz diventava, col procedere della scrittura, la condizione ideale per affrontare, con un gesto insieme ilare e violento, il saggio in oggetto. Di fronte alla seriosità del NIE, insomma, m’è venuto spontaneo incoronare a eroe Čuk, facendogli indossare i panni di un imbonitore che invita a entrare nel baraccone di una letteratura gratuita (in senso artaudiano), che fonda la sua esistenza su una dinamicità tutta interna al linguaggio, al di là di ogni subordinazione ai referenti. Con ciò volendo anche esprimere la mia totale contrarietà al malinteso della parola «curativa», ribadito più volte nel saggio di WM, che corre il rischio di trascinare il lettore in una débacle percettiva senza ricavare altro piacere che la consolazione.
Ebbene, attorno al personaggio di Čuk-Utitz sono nate altre situazioni, tutte alle soglie della teatralità. L’irrisione ha preso allora le sembianze di un vero e proprio dramma, declinato nell’incrocio di stili diversi, dal grottesco all’autobiografico al poetico, e leggibile anche al di là della polemica col NIE. Il riferimento, in termini di linguaggio scenico, è la destrutturazione del dramma epico operata da Heiner Müller, da cui è pure ripresa l’idea di un teatro che si rifiuta al teatro: l’idea, cioè, di un’opera irrappresentabile, che ha come unico palcoscenico il cervello.
Confesso a questo punto, sigillando questa avvertenza, che il testo qui presentato, pur non nascondendo la propria natura di esperimento di scrittura drammaturgica e di pensiero critico, è in realtà solo e soltanto un divertimento. Lo si potrebbe definire un capriccio epico. Perdona, se puoi, le sue cadute di stile e i suoi cliché. In fondo, sono solo un attore ...

Nevio Gàmbula